«L’età dell’ignoranza – È possibile una democrazia senza cultura?»

«Non si sente parlare che di “società dell’informazione”, ma siamo entrati senza accorgercene nell’età dell’ignoranza». L’incipit del libro di Fabrizio Tonello, docente di Scienza dell’opinione pubblica all’università di Padova, scritto in modo accattivante e godibile, è un’affermazione che sa di paradosso: internet ha diffuso l’illusione che la cultura sia alla portata di tutti, mentre invece opera un esproprio delle conoscenze del cittadino medio, generando indifferenza e incapacità critica. Nelle scuole entrano portatili e iPad; i nuovi telefoni cellulari ci permettono di scaricare musica, parole o immagini; sul web possiamo ascoltare la radio italiana anche in Australia o leggere qualsiasi giornale a Capo Nord, dove siamo magari arrivati in macchina seguendo le indicazioni di Google Maps. Oggi i canali tv “all news” in tutte le lingue portano il mondo in casa e la convergenza dei mezzi di comunicazione mette chiunque nella condizione di essere informato in tempo reale, quasi come un giornalista in redazione. «Purtroppo l’ingenuo ottimismo dei cantori della modernità tende a ignorare molti problemi che ci stanno di fronte», aggiunge Tonello, che anzitutto invita a «guardare al fossato che si sta approfondendo fra chi ha accesso a internet e chi non ce l’ha». Nel dicembre 2011 i giornali italiani hanno commentato con soddisfazione che il traguardo del 50% della popolazione italiana connessa a internet era stato raggiunto, anche se in un giorno medio erano – allora – 12 milioni gli italiani in Rete (adesso sono circa 1 milione in più). Ma persino negli Stati Uniti, dove quattro adulti su cinque sono abituali utenti di internet, il 20% degli esclusi sono più di 50 milioni di persone, una cifra assai vicina a quella dei cittadini americani che vivono in povertà. Sta avvenendo una sorta di selezione darwiniana della specie umana, rivisitata in chiave XXI secolo: «Volete un biglietto aereo? Niente più agenzia di viaggi: fate da voi risparmiando con una prenotazione on line, se siete capaci; volete un nuovo divano? Ikea ve lo offre a basso prezzo, a condizione che ve lo portiate a casa da soli e ve lo montiate nel tempo libero». Più in generale si tratta di un’evoluzione del rapporto tra i fornitori di beni e servizi e i loro clienti, dove saltano i livelli intermedi tra produzione e consumo, come fanno le banche con il bancomat invece del cassiere o le ferrovie con le emettitrici automatiche di biglietti al posto degli sportelli con l’operatore. Ma «avere a disposizione miliardi di informazioni non equivale a comprenderle, né a saperle usare correttamente: al contrario, il rumore di fondo può diventare un ostacolo all’uso dell’intelligenza critica». I “nativi digitali”, la prima generazione cresciuta con internet (solitamente riferita a chi è nato dopo il 1996, l’anno della diffusione dei primi “browser” come Netscape Navigator, poi seguito da Internet Explorer della Microsoft), trovano sempre qualcosa quando cercano informazioni sulla Rete, ma non è detto che siano le cose migliori e soprattutto che siano affidabili. «Questo atteggiamento di ingenuo determinismo tecnologico – aggiunge il nostro autore – è particolarmente visibile nelle aspettative create da Wikipedia e, più recentemente, da Facebook, Twitter e altre piattaforme simili». Purtroppo il web non è la bacchetta magica della democrazia: «Chi usa internet per mettere le foto delle vacanze su Facebook non diventerà per questo un cittadino responsabile». Se ad esempio le scuole spendono nelle nuove tecnologie, mentre tagliano i bilanci e licenziano gli insegnanti, questo approccio non migliora l’apprendimento di base, perché «i buoni insegnanti possono fare un buon uso dei computer, mentre i cattivi insegnanti non vengono trasformati in buoni docenti da un software, con in più l’aggravante che loro e i loro studenti finiscono facilmente per essere distratti dalla tecnologia». Secondo uno studio dell’agenzia di stampa americana Ap, citato nelle ultime pagine del libro, su questo tema le prospettive non sono molto confortanti: «In futuro il consumo di notizie sarà sempre più irregolare e superficiale, affidato a un rapido esame dei titoli sul telefono cellulare o alla home page dei fornitori di posta elettronica. Gli iPhone, iPad o altri “tablet” rafforzano uno stile di vita in cui la ricerca dell’approfondimento e della riflessione tendono a scomparire». gg