Difesa degli avvocati scritta da un pubblico accusatore

Questo libro è dedicato a Paolo Frau, avvocato in Alba. Ed è forse una delle difese più sincere che possa essere stata scritta sulla professione dell’avvocatura. «Bisognerebbe che ogni avvocato per due mesi all’anno facesse il giudice; e che ogni giudice, per due mesi all’anno, facesse l’avvocato. Imparerebbero così a comprendersi e compatirsi: e reciprocamente si stimerebbero di più». Così Piero Calamandrei. Fare l’avvocato, oggi, è diventato un mestiere. Faticoso perché il cliente non ti paga, prima di tutto, e poi è pronto a denunciarti subito se sbagli, e psicologicamente stancante. L’avvocatura, oggi, si deve dipanare attraverso le leggi che cambiano aspetto in continuazione. Deve confrontarsi con una magistratura inquieta, anche perché timorosa di perdere quell’indipendenza che a lei soltanto appartiene. E deve poi fare i conti con una moltitudine di avvocati che sembrano moltiplicarsi in continuazione. Ma l’avvocato possiede – dice Borgna, magistrato a Torino dal 1981 – una funzione sociale fondamentale. Lo diceva già Calamandrei che la più grande utilità sociale svolta dagli avvocati è quella di ascoltare i clienti. Le ore dedicate al ricevimento delle persone sono – come sanno tutti gli avvocati – ore spese ad ascoltare da vicino soprattutto il dolore umano. Sono tempi, oggi, in cui i grumi di dolore diventano sempre più laceratori. A volte esplodono e si trasformano in tragedia. L’avvocato è al 50% psicologo, confessore dell’anima oppressa, e per il residuo 50% difensore puro. Però Borgna – che è magistrato requirente con l’anima più distaccata del giudicante come qualche anziano avvocato gli dice pensando di fargli un complimento – osserva che soltanto gli avvocati costituiscono il tramite necessario tra le persone e le carte. Ciò che gli avvocati rimproverano spesso ai giudici in generale è la loro quasi fisica indifferenza al dolore umano. Nel senso che vivono le vicende giudiziarie soltanto come processi e basta. Non vedendo la persona che sta dentro il processo. Questo è un rimprovero generalista che a volte l’avvocato pensa intimamente e scambia a parole con i colleghi. Nella realtà non esistono magistrati che vedano soltanto i processi come faldoni di mera carta chè sono esseri umani anche loro. Però resta assolutamente vero che il soggetto a stretto contatto con l’umanità dolente, l’anticamera del processo, non è il giudice. E’ soltanto l’avvocato, l’unico portatore delle miserie umane che si trova a difendere. Fare l’avvocato è difficile. Però il cuore, anche in questi casi, è il motore portante della professione. Borgna ha fato pratica da avvocato. E chissà perché tutti i giudici – i quali abbiano indossato la toga del difensore – diventino poi dei centauri. Metà uomini e metà creature mitologiche. Forse perché non c’è miglior saggio di chi ha visto per un solo istante l’inferno. Ecco perché Borgna riesce a scrivere una difesa ragionata, in maniera loica e razionale, quasi fosse un atto giudiziario perfetto, ma comunque appassionata. Non esistono avvocati bravi e meno bravi. Ci sono tanti avvocati che studiano, quindi competenti, capaci dialetticamente, ed abili a scrivere. Ma senza cuore. Un avvocato senza cuore è come uno chef che sa eseguire i piatti ma te li fa mangiare senza quel soffio speciale per cui te ne ricorderai. Borgna mette in luce la funzione complementare necessaria dell’avvocatura. Si deve tener presente che lo fa sempre nell’ottica del magistrato requirente, dell’accusatore, di quello che dovrebbe essere soltanto una parte privata e basta. Al pari del difensore. Dice che l’avvocato, per quanto assillante, insistente ed a volte soffocante, è il vero antidoto per l’accusa. Quante volte è accaduto di sentire una parte offesa che rilascia una versione agghiacciante di un fatto. Il magistrato si mette subito in attività anche perché colpito umanamente da quella narrazione, da quei contenuti di paura e disperazione. Poi interviene l’avvocato. Che smonta quella versione, o semplicemente ne fornisce una alternativa. Ecco che allora la capacità di istillare un dubbio diviene non solo il contraltare necessario dell’accusa perché ne limita il potere, ma è anche il risultato più eccelso a cui un difensore possa ambire. La capacità non di persuadere i giudici chè resta una cosa difficilissima, ma quella di portare un dubbio. Questo è il vero potere dell’avvocatura rispetto all’accusa. Far vedere le cose da un’ottica diversa. Borgna si interroga sul destino dell’avvocatura. E si domanda come debba essere l’avvocato per poter continuare a sopravvivere non come in un branco selvaggio ma possedendo una dignità sua propria. E pensa ai giovani, a coloro che si affacciano a volte timorosi nelle stanze dei Pm per annunciare anche un semplice ritardo del proprio dominus. E’ bellissimo questo passo. E’ una fotografia dei nostri anni in cui abbiamo cominciato a muovere i primi passi nelle aule di giustizia. Dovete sapere che i primi momenti – per un giovane praticante – costituiscono l’ingresso in un mondo sacrale, quasi incredibile. Chè tutte le cittadelle giudiziarie costituiscono e rappresentano mondi a parte. Universi differenti. Anche qui riesce però ad esprimere una previsione ottimistica, rischiarante. E lo fa sulla base della fortuna di avere avuto un dominus bravo. La funzione – per i giovani praticanti – svolta da un avvocato più anziano è preziosa e fondamentale. Costituisce non soltanto una scuola professionale in senso stretto. E’ una scuola di vita. Avere una buona nave scuola significa poter conservare un imprinting solido, una bussola d’oro cui guardare nei momenti più bui e critici di un mestiere duro ed a volte assolutamente bastardo. Il dominus di Borgna resta una figura mitica. Un uomo quasi ruvido, che durante il primo colloquio con il cliente quasi lo assaliva cercando di fargli uscire le cose più importanti. Quelle essenziali. Il primo contatto con il cliente è sempre critico. Oltre al lato umano per cui ci si deve prendere subito, c’è l’aspetto professionale per cui si deve essere capaci di farsi dire ciò che rileva e di far capire chi regge il timone della difesa. Poi questo avvocato, quello bravo, comincia a metabolizzare il cliente e le sue ragioni. Diventa quasi mimetico e ne prende i pensieri e le preoccupazioni che si carica addosso. Da quel momento la difesa diventa un fatto simbiotico, umano, professionale, per cui cliente e difensore si fondono in un tutt’uno armonioso. Per ottenere un melange del genere, però, ci vuole un grande avvocato. Anche perché bisogna saper difendere tutti senza appartenergli. Come disse un grande avvocato, ho difeso tutti non essendo mai di nessuno. Ecco che allora Borgna ci dice che per diventare buoni o grandi avvocati non è necessario battere alla porta del luminare, del principe del foro. E questo è un vero e sapiente insegnamento da trasmette ai giovani. Bisogna avere la fortuna di battere all’uscio di un avvocato che ami il suo lavoro e che sia in grado di trasmettere il suo amore all’ allievo. Di solito il buon avvocato si vede anche dall’amore per i giovani e dal fatto che è onesto a livello intellettuale. Nel senso che gioisce ad avere intorno un ritorno di intelligenza più fresca, quasi più argentina, come è quella delle leve più giovani. Restano da incorniciare i ritratti che Borgna fa dell’Avv. Fulvio Croce assassinato dalle Brigate Rosse a Torino il 28 aprile del 1977. Così come quello dell’avv. Giorgio Ambrosoli assassinato l’11 luglio 1979. Ambrosoli è stato l’uomo che ha incastrato Michele Sindona, per intenderci. Sembra quasi che il più grande riconoscimento a queste due figure dell’avvocatura arrivi proprio dalla magistratura. Anche perché Borgna sembra lucidamente capire quanto siano stati importanti certi avvocati anche per la nostra storia repubblicana. Si pensi a Dante Livio Bianco, per esempio, oppure a Duccio Galimberti. Figure di uomini coraggiosi, capaci di farsi uccidere per credere in un’idea soltanto. E’ bello pensare che la professione dell’avvocatura abbia potuto essere così nobilitata proprio da chi la avversa tutti i giorni per mestiere. Il riconoscimento del tuo nemico vale due volte perché fatto da chi ti è avverso e quindi – proprio per questo – assolutamente sincero. Aldo Pezzini gg