In un famoso ristorante di Zurigo, punto d’incontro dei notabili della città, il consigliere cantonale Isaak Kohler ammazza a revolverate, davanti a tutti, un illustre professore universitario. Condannato a vent’anni di galera, Kohler convoca in carcere un luogo avvolto da un’aura solenne, che appare assai migliore del mondo “normale” il giovane avvocato Spät e gli chiede di riesaminare il caso partendo dall’ipotesi che non sia lui l’assassino. Squattrinato com’è, Spät accetta un incarico impossibile, apparentemente senza senso: con il generoso anticipo apre un lussuoso studio, si compra una Porsche, insomma cambia vita. Mentre il consigliere cantonale, “un uomo a cui piace giocare la parte di Dio su questo miserabile pianeta”, continua spavaldamente ad amministrare i propri affari dal carcere, Spät si imbatte in un intrico di situazioni torbide: traffici di armi e puttane, megere strapotenti e corrotti “intoccabili”. E si rende conto che Kohler l’ha incastrato in un piano diabolico, che farà di lui un pluriomicida. Messo alle corde, incagliato nel proprio tentativo di “ristabilire quanto meno un’idea plausibile di giustizia, affinché non diventi una farsa totale”, Spät giunge a un verdetto personale. E a una vendetta assurda, ma assoluta. “Non occorre che un giudice sia giusto, così come non occorre che un papa sia credente”: in questo romanzo, estremamente attuale e inquietante, Dürrenmatt sonda magistralmente i labili confini che separano etica e opportunismo, dipendenza e libero arbitrio, sottolineando, soprattutto, la relatività del concetto di giustizia. gg